Magia

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Gilbert Keith Chesterton
Magia

Commedia fantastica
in un preludio e tre atti

Traduzione di Giulio Mainardi.
Tutti i diritti riservati.

* * *

PREFAZIONE

Nelle opere di Chesterton la magia è cosa rara. Nella sua sterminata produzione si trovano innumerevoli avvenimenti curiosi, inverosimili, paradossali o talmente stravaganti da risultare del tutto incredibili; ma mai, praticamente mai vediamo in scena dei fatti manifestamente sovrannaturali. Anche quando avvengono eventi che paiono impossibili (pensiamo ai suoi gialli, e in particolare ai racconti di padre Brown), alla fine, con una grazia e un ingegno che non cessano di stupire, questi vengono sempre ricondotti a una spiegazione naturalistica.
Eppure, come il lettore che gli si avvicina per la prima volta ha ben presto modo di constatare, nel leggere Chesterton si ha costantemente una sensazione di magia. È una cosa che deriva dal modo in cui Chesterton descrive, dal modo in cui narra: tutto ciò che la sua penna tratteggia, dal filo d’erba alla nube temporalesca, dagli occhi di una donna alla mente di un assassino, è denso di significati nascosti, di una bellezza terribile ed emozionante: quella che scaturisce da una cosa che, anche quando chiudiamo il libro, sentiamo di non avere compreso fino in fondo.
La sensazione che ci lasciano i suoi scritti può essere descritta usando le sue stesse parole: “Ogni fiore, ogni sasso è un geroglifico di cui abbiamo perso la chiave” (William Blake, 1910). I personaggi di Chesterton si muovono nel mondo come dentro un grandioso mistero; e se anche all’interno del quadro non è rappresentato alcun soggetto fantastico, è il quadro stesso a essere magico.
Il lettore non tarda a scoprire che lo stile con cui Chesterton scrive è la realizzazione spontanea delle sue convinzioni filosofiche: come spiegava in Ortodossia (1908), “Quando ci domandiamo perché le uova diventano uccelli o le foglie cadono in autunno, dobbiamo rispondere […] che è magia. Non è una legge, perché non ne comprendiamo la formula generale. Non è una necessità, […] perché sbaglieremmo a dire che queste cose devono sempre accadere.”.

In quest’opera così esplicitamente intitolata, tuttavia, Chesterton tratta un tema differente. Non vuole ragionare sull’intera esistenza come fatto sovrannaturale; lasciando sullo sfondo le discussioni sulla natura dell’universo, egli si concentra sull’evento miracoloso come è comunemente inteso: eccezione alle leggi della fisica, avvenimento che viola l’evidente realtà dei fatti: costruzione puramente mentale, dunque, in quanto dichiaratamente impossibile. Ma che cosa succede quando l’impossibile accade?
Con la sua penna tagliente, Chesterton si prepara a distruggere i nostri pregiudizi più radicati come uno spadaccino allenato, e architetta una storia arguta, sapientemente tesa, dove ogni frase, ogni accenno, ogni allusione muove in direzioni apparentemente diverse, ma in realtà ingegnosamente collegate; mentre sopra e intorno ai personaggi il sovrannaturale, presenza sottile e incombente, sembra in ogni momento in procinto di rivelarsi, come ingannevole macchinazione o come insondabile realtà. Tra dialoghi brillanti e litigi, aforismi fulminanti e lunghi silenzi, il lettore percepisce, nella tranquillità di un ambiente piacevole e consueto, il lento montare di un dubbio insinuante: cosa è vero, cosa non lo è? È reale magia, o solo un trucco di prestigio? È un incantesimo o un’illusione? Un miracolo o una macchina?
Il dubbio, pur nei suoi sconvolgimenti, permane fino alla chiusura di questo racconto che è anche dolcissimo e toccante, e ci accompagna oltre la caduta del sipario, verso il ritorno alla nostra quotidianità: dubbio che ci spinge a guardare, con occhi nuovi, fuori di noi: verso la bellezza inesausta del mondo, verso la bellezza del mistero.

Giulio Mainardi

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Magia

PERSONAGGI

Il duca
Il dottor Grimthorpe
Il reverendo Cyril Smith
Morris Carleon
Hastings, il segretario del duca
Lo straniero
Patricia Carleon

L’azione si svolge nel salotto del duca.

ATTO I

Preludio

SCENA: Una piantagione di alberi giovani e sottili, in un crepuscolo nebbioso e piovoso; alcuni fiori di bosco che chiazzano la terra tra i fusti.

Appare lo STRANIERO, una figura ammantata con un cappuccio a punta. Il suo abito potrebbe appartenere alla modernità o a qualunque altro tempo, e il cappuccio conico è così calato sulla testa che ben poco si vede del volto.

Si ode una voce distante, di donna, a metà tra una canzone e una cantilena, dire parole inintelligibili. La figura ammantata solleva il capo e ascolta con attenzione. La fonte del suono si avvicina ed entra PATRICIA CARLEON. È bruna e minuta, e ha un’espressione trasognata. Benché sia vestita con gusto artistico, i suoi capelli sono un po’ scomposti. Tiene in mano il ramo rotto di un qualche albero in fiore. Non si accorge dello STRANIERO, ed egli, sebbene la guardi con interesse, non fa cenno. Ella si accorge di lui all’improvviso e arretra.

PATRICIA. Oh! Chi siete?

STRANIERO. Ah! Chi sono io? [Si mette a borbottare tra sé e sé, e traccia segni sul terreno col suo bastone.]
Posseggo un cappello, eppure non lo indosso;
porto una spada, ma non per ammazzare,
e sempre mi porto nella borsa addosso
un mazzo di carte, ma non per giocare.

PATRICIA. Chi siete? Cosa state dicendo?

STRANIERO. È la lingua delle fate, o figlia di Eva.

PATRICIA. Però io non ho mai pensato che le fate fossero come voi. Insomma, siete più alto di me.

STRANIERO. Siamo alti quanto desideriamo. Ma gli elfi diventano piccoli, non grandi, quando si mescolano con i mortali.

PATRICIA. Intendete dire che sono esseri più grandi di noi.

STRANIERO. Figlia di uomini, se tu volessi vedere una fata come realmente è, cerca la sua testa al di sopra delle stelle e i suoi piedi nel fondo del mare. Le vecchie donne ti hanno insegnato che i folletti sono troppo piccoli per essere visti. Io invece ti dico che sono troppo enormi per essere visti. Perché essi sono gli dei antichi, di fronte ai quali i giganti erano come pigmei. Essi sono gli Spiriti Elementali, e ognuno di essi è grande più del mondo. E tu li cerchi nelle ghiande e sopra i funghi velenosi e ti domandi perché non li hai mai visti.

PATRICIA. Ma voi non siete forse di forma e taglia umana?

STRANIERO. Lo sono perché desideravo parlare con una donna.

PATRICIA. [Arretrando terrorizzata.] Mi sembra che stiate diventando più alto mentre parlate.

La scena sparisce, e fa posto all’ambiente dell’ATTO I, il salotto del duca: una camera con portefinestre aperte o un qualunque tipo di aperture abbastanza grandi da mostrare un giardino e una casa piuttosto vicina. È sera, e c’è una lampada rossa accesa nella casa là fuori. Il REVERENDO CYRIL SMITH, evidentemente un visitatore, è seduto con il cappello e l’ombrello al suo fianco. È un uomo giovane con il più alto dei collari della Chiesa alta e tutte le qualità di un fanatico controllato. È della razza dei socialisti cristiani e prende seriamente il suo sacerdozio. È un uomo onesto, e non un asino.

Verso di lui entra il SIGNOR HASTINGS con delle carte in mano.

HASTINGS. Oh, buonasera. Siete il signor Smith. [Pausa.] Voglio dire che siete il parroco, penso.

SMITH. Sono il parroco.

HASTINGS. Io sono il segretario del duca. Sua grazia desidera che vi dica che spera di vedervi molto presto; ma è occupato proprio ora con il dottore.

SMITH. Il duca è ammalato?

HASTINGS. [Ridendo.] Oh, no; il dottore è venuto per chiedergli di sostenere una causa od un’altra. Il duca non si ammala mai.

SMITH. Il dottore è con lui adesso?

HASTINGS. Beh, strettamente parlando, no. Il dottore è tornato a casa a prendere un documento che ha a che fare con la sua proposta. Ma non è andato lontano, come potete vedere. Quella è la sua lampada rossa sul confine del suo terreno.

SMITH. Sì, lo so. Vi sono molto grato. Aspetterò tutto il tempo necessario.

HASTINGS. [Allegramente.] Oh, non ci vorrà troppo.

Esce.

Dalla porta del giardino entra, leggendo un foglio, il DOTTOR GRIMTHORPE. È un professionista di vecchio stampo, un vero gentiluomo, vestito con grande cura e uno stile un poco antiquato. Ha circa sessant’anni e potrebbe essere stato un amico di Huxley.

DOTTORE. [Ripiegando il foglio.] Vi chiedo scusa, signore, non mi ero accorto che ci fosse qualcuno nella stanza.

SMITH. [Amichevolmente.] Sono io che mi scuso. Un nuovo ecclesiastico non può aspettarsi di essere aspettato. Sono venuto solo per parlare col duca di alcune questioni locali.

DOTTORE. [Sorridendo.] E lo stesso, pensate un po’, ho fatto io. Ma suppongo che entrambi vorremmo prendere il controllo di lui da un orecchio diverso.

SMITH. Oh, non c’è nulla da nascondere per quanto mi riguarda. Mi sono unito a questa associazione per l’avvio di un pub modello nella parrocchia; e in poche parole sono qui per chiedere a Sua grazia di sottoscrivere l’iniziativa.

DOTTORE. [Cupamente.] E si dà il caso che io mi sia unito alla petizione contro l’erezione di un pub modello. L’affinità delle nostre posizioni cresce ogni momento.

SMITH. Sì, sono certo che dobbiamo essere gemelli.

DOTTORE. [Più di buon umore.] Ebbene, che cos’è un pub modello? Intendete un modello giocattolo?

SMITH. Intendo un posto dove un inglese possa prendere una bevanda decente e berla decentemente. Lo chiamate un giocattolo?

DOTTORE. No; lo chiamerei un trucco d’illusionismo. Oppure, scusandomi con il vostro abito, lo chiamerei un miracolo.

SMITH. Accetto le scuse al mio abito. Faccio il mio dovere di sacerdote. Che diritto può avere la Chiesa di far digiunare gli uomini se non dà loro il permesso di banchettare?

DOTTORE. [Amaramente.] E quando avrete finito di farli banchettare, li manderete da me per farli curare.

SMITH. Sì; e quando avrete finito di curarli li spedirete da me per farli seppellire.

DOTTORE. [Dopo una pausa, ridendo.] Beh, voi avete tutte le vecchie dottrine. È semplicemente giusto che abbiate anche tutte le vecchie battute.

SMITH. [Ridendo anch’egli.] A proposito, voi chiamate trucco d’illusionismo il fatto che un povero beva con moderazione.

DOTTORE. Chiamo scoperta di chimica il fatto che l’alcol non è un cibo.

SMITH. Voi non bevete vino?

DOTTORE. [Abbastanza sorpreso.] Bere vino! Beh – esiste qualcos’altro che si può bere?

SMITH. Così bere decentemente è un gioco di prestigio che voi potete fare, ad ogni modo?

DOTTORE. [Ancora di buon umore.] Ecco, bene, speriamo che sia così. E parlando sempre di giochi di prestigio, questo pomeriggio qui ci saranno della prestidigitazione e tutte le cose di questo genere.

SMITH. Prestidigitazione? Davvero? Di cosa si tratta?

Entra HASTINGS con una lettera per mano.

HASTINGS. Sua grazia sarà da voi fra pochissimo. Mi ha chiesto innanzitutto di occuparmi della faccenda del denaro.

Dà una lettera a ciascuno.

SMITH. [Girandosi entusiasta verso il DOTTORE.] Ma questo è meraviglioso! Il duca ha donato cinquanta sterline per il nuovo pub.

HASTINGS. Il duca è molto munifico.

Raccoglie delle carte.

DOTTORE. [Studiando il suo assegno.] Molto. Ma ciò è davvero curioso. Ha anche donato cinquanta sterline alla lega per l’opposizione al nuovo pub.

HASTINGS. Il duca è di mente molto aperta.

Esce.

SMITH. [Fissando il suo assegno.] Di mente aperta! …di mente spalancata, direi io.

DOTTORE. [Sedendosi e accendendosi un sigaro.] Beh, sì. In effetti il duca soffre un po’ di vacuità [si mette il sigaro in bocca e fa un tiro mentre pensa] di mente. È totalmente a favore del compromesso. Avete presente quel tipo di uomo che, quando gli parlate delle cinque migliori razze di cani, finisce sempre per comprare un bastardo? Il duca è il più gentile degli uomini, e cerca sempre di fare contenti tutti. Di solito finisce per non fare contento nessuno.

SMITH. Sì; penso di capire quello che dite.

DOTTORE. Prendete questa storia dell’illusionismo, ad esempio. Sapevate che il duca ha due pupilli che ora devono vivere con lui?

SMITH. Sì. Ho sentito qualcosa di un nipote e una nipote irlandesi.

DOTTORE. La nipote è arrivata dall’Irlanda qualche mese fa, ma il nipote ritorna dall’America stanotte. [Si alza all’improvviso e si mette a camminare per la stanza.] Voglio dirvi tutto quello che so. Nonostante il vostro prezioso pub mi sembrate una persona sana. E suppongo che stanotte avrò bisogno di tutti gli uomini sani che posso trovare.

SMITH. [Alzandosi anch’egli.] Sono al vostro servizio. Sapete, avevo intuito che non eravate venuto qua solo per protestare contro il mio prezioso pub.

DOTTORE. [Camminando con eccitazione controllata.] Beh, avete visto giusto. Sono stato medico di famiglia del fratello del duca in Irlanda. Conosco la famiglia abbastanza bene.

SMITH. [Con calma.] Sbaglio a intendere che sapete qualcosa di strano, a proposito della famiglia?

DOTTORE. Beh, vedevano le fate e cose di quel genere.

SMITH. E per il pensiero medico vedere delle fate è esattamente come vedere dei serpenti, vero?

DOTTORE. [Con un sorriso agro.] Beh, le vedevano in Irlanda. Credo sia abbastanza giusto vedere fate in Irlanda. È come scommettere a Montecarlo. È del tutto dignitoso. Ma voglio tracciare una linea tra quello e il vedere i folletti in Inghilterra. Mi oppongo al fatto che possano portare i loro fantasmi e goblini e streghe nel giardino sul retro del povero duca e a meno di una iarda dalla mia luce rossa. Dimostrerebbe mancanza di tatto.

SMITH. Intuisco che però il nipote e la nipote del duca vedono streghe e fate tra qui e la vostra lampada.

Cammina verso le finestre sul giardino e guarda fuori.

DOTTORE. Beh, il nipote è stato in America. È evidente che non si possono vedere folletti in America. Ma in famiglia aleggia questa specie di superstizione, e se ci penso non sono tranquillo per la ragazza.

SMITH. Perché, che cosa fa?

DOTTORE. Oh, vaga nel parco e nei boschi di sera. Esce nelle sere umide, per scelta. Lo chiama il crepuscolo celtico . Io non so proprio a cosa possa servire il crepuscolo celtico. Ha la tendenza a infiammare il petto. Ma il peggio è che parla sempre di incontrare qualcuno, un elfo o un mago o qualcosa di simile. La cosa non mi piace per niente.

SMITH. Ne avete parlato col duca?

DOTTORE. [Con un sorriso tetro.] Oh, sì, ne ho parlato col duca. Il risultato è stato l’illusionista.

SMITH. [Con meraviglia.] L’illusionista?

DOTTORE. [Spegne il sigaro nel posacenere.] Il duca è indescrivibile. Sarà qua tra poco, e potrete vedere da solo. Mettetegli di fronte due o tre fatti o idee, e la cosa che ne tira fuori è sempre qualcosa che non ha nulla a che fare con l’argomento. Parlate ad ogni altro essere umano di una ragazza che vaneggia di fate e del suo pragmatico fratello americano, ed egli risolverebbe la faccenda in qualche maniera ovvia per compiacere uno dei due: mandare lei in America o lasciare che veda i suoi folletti in Irlanda. Ora, il duca ritiene invece che un illusionista sia proprio quello che ci vuole. Suppongo abbia una vaga idea che questo possa rallegrare un po’ le cose, e in qualche modo soddisfare l’interesse dei credenti per le cose sovrannaturali e l’interesse dei non credenti per le cose intelligenti. Di fatto il non credente pensa che l’illusionista sia un imbroglione, e la credente pensa che sia un imbroglione allo stesso modo. L’illusionista non fa contento nessuno. È per questo che fa contento il duca.

Entra il DUCA, con HASTINGS, che trasporta degli incartamenti. Il DUCA è un uomo cordiale, pieno di salute, vestito di tweed, con un occhio abbastanza deviato. Visto lo stato attuale dell’aristocrazia, è necessario precisare che il DUCA, benché sia un asino, è un gentiluomo.

DUCA. Buongiorno, signor Smith. Mi dispiace tanto avervi fatto aspettare, ma siamo piuttosto di fretta quest’oggi. [Si gira verso HASTINGS, che è andato avanti con le carte verso il tavolo.] Sai che oggi arriva il signorino Carleon?

HASTINGS. Sì, Vostra grazia. Il suo treno ormai dovrebbe essere in arrivo. Ho mandato il calesse.

DUCA. Grazie. [Girandosi verso gli altri due.] Il mio nipote, dottor Grimthorpe, – Morris, sapete, il fratello americano della signorina Carleon. Ho sentito che ha fatto grandi cose laggiù. Benzina, o simili. Bisogna tenere il passo dei tempi, eh?

DOTTORE. Temo che il signor Smith non sia sempre d’accordo sullo stare al passo coi tempi.

DUCA. Oh, suvvia, suvvia! Il progresso, sapete, il progresso! Ovviamente so quanto siete occupati; non dovete lavorare troppo, sapete. Hastings mi stava dicendo che vi siete fatti due risate per le mie sottoscrizioni. Ecco, ecco, io credo nel guardare entrambe le parti di una questione, sapete. Aspetti, come li avrebbe chiamati il vecchio Buffle . Aspetti. [Con un onnicomprensivo gesto del braccio.] Voi rappresentate la tendenza a bere con moderazione, e fate bene a vostro modo. Il dottore rappresenta la tendenza a non bere affatto; e fa bene a suo modo. Non possiamo essere antichi britanni, sapete.

Un silenzio prolungato e confuso, come sempre dopo le più improvvise associazioni o dissociazioni di idee del DUCA.

SMITH. [Alla fine, debolmente.] Antichi britanni…

DOTTORE. [A SMITH a bassa voce.] Non preoccupatevi. È solo la sua ampiezza di vedute.

DUCA. [Con inalterata allegria.] Ho visto il posto che state tirando su, signor Smith. Un ottimo lavoro. Un ottimo lavoro, davvero. Arte per il popolo, eh? Mi è piaciuto particolarmente il lavoro di carpenteria sulla porta occidentale – sono lieto che stiate usando la nuova tecnica di imitazione del legno… vedete, mi fa proprio pensare alla Rivoluzione francese.

Altro silenzio. Mentre il DUCA gira eccitato per la stanza, SMITH si rivolge al DOTTORE a bassa voce.

SMITH. A voi ricorda la Rivoluzione francese?

DOTTORE. Come mi ricorda qualunque altra cosa. Sua grazia non mi ricorda mai nulla.

Si sente chiamare in giardino da una voce americana giovane e molto alta. «Ehi, qualcuno potrebbe occuparsi di queste casse?»
Il SIGNOR HASTINGS esce in giardino. Ritorna con MORRIS CARLEON, un uomo molto giovane, a malapena più di un ragazzo, ma con abito e maniere americani molto da adulto. È bruno, minuto e vispo; e, sotto la patina americana, la razza è irlandese.

MORRIS. [Scherzando, mentre sporge la testa dalla finestra.] Ehi voi, vive qui un qualche duca?

DOTTORE. [Che è il più vicino a lui, con grande gravità.] Sì, solo uno.

MORRIS. Ne arguisco che è quello che cerco, ad ogni modo. Sono suo nipote.

Il DUCA, che sta rimuginando in primo piano, con un occhio abbastanza storto, a queste parole si gira e dà a MORRIS una calorosa stretta di mano.

DUCA. Deliziato di vederti, mio caro ragazzo. Ho sentito che stavi portando avanti molto bene i tuoi affari.

MORRIS. [Ridendo.] Sì, bene, molto bene, duca; e ancora meglio quelli di Paul T. Vandam, immagino. Gestisco le miniere del vecchio giù in Arizona, sapete.

DUCA. [Scuotendo la testa con sagacia.] Ah, avanti tutta, amico! Sistemi molto avanti, mi dicono. Bene, oso dire che sta usando davvero bene il suo denaro. E non possiamo tornare indietro all’inquisizione spagnola.

Silenzio, durante il quale i tre uomini si guardano l’un l’altro.

MORRIS. [All’improvviso.] E Patricia come sta?

DUCA. [In modo un po’ vago.] Oh, molto bene, credo. Ella…

Esita leggermente.

MORRIS. [Sorridendo.] Bene, dunque, Patricia dov’è?

C’è una pausa un po’ imbarazzata, quindi parla il DOTTORE.

DOTTORE. Credo che la signorina Carleon stia passeggiando qui intorno.

MORRIS va alla porta sul giardino e guarda fuori.

MORRIS. È una notte maledettamente ghiacciata per uscire. Mia sorella sceglie spesso queste serate per prendere un po’ d’aria – e di umido?

DOTTORE. [Dopo una pausa.] Se posso permettermi, sono del tutto d’accordo con voi. Mi sono spesso preso la libertà di diffidare vostra sorella dall’uscire con un clima come questo.

DUCA. [Roteando le mani attorno con prodigalità.] Il temperamento artistico! È quello che chiamo sempre il temperamento artistico! Wordsworth, avete presente, e tutto ciò.

Silenzio.

MORRIS. [Con lo sguardo fisso.] Tutto cosa?

DUCA. [Continuando a concionare con entusiasmo.] Sì, il temperamento di ognuno, avete presente! È il suo temperamento vedere le fate. È il mio temperamento non vedere le fate. Cioè, ho camminato per tutto il terreno venti volte e non ho mai visto una fata. Ecco, è uguale per questo mago o comunque ella lo chiami. Per lei c’è qualcuno là fuori. Per noi là fuori non ci sarebbe nessuno. Capite?

MORRIS. [Venendo avanti agitato.] Qualcuno là fuori! Cosa stai dicendo?

DUCA. [Candidamente.] Insomma, dire che sia un uomo non si può proprio.

MORRIS. [Con violenza.] Un uomo!

DUCA. Ebbene, come diceva il vecchio Buffle, che cos’è un uomo?

MORRIS. [Con una forte crescita dell’accento americano.] Col tuo permesso, duca, me ne infischio del vecchio Buffle. Stai dicendo che a qualcuno è venuto il cavolo di sospetto che un uomo…

DUCA. Oh, non un uomo, capisci. Uno stregone, qualcosa di mitico, capisci.

SMITH. Non un semplice uomo, ma un taumaturgo, un guaritore.

DOTTORE. [Cupamente.] Io guarisco la gente.

MORRIS. E tu non sembri affatto mitico, doc.

Si morde il dito e inizia a percorrere la stanza avanti e indietro con irrequietezza.

DUCA. Ecco, sapete, il temperamento artistico…

MORRIS. [Girandosi all’improvviso.] Stammi bene a sentire, duca! Sotto tanti aspetti commerciali siamo un paese piuttosto avanzato. Sotto certi aspetti morali siamo soddisfatti di essere un paese piuttosto arretrato. E se mi chiedi se mi piace che mia sorella vada in giro per i boschi in una notte come questa – bene, non mi piace!

DUCA. Temo che voi americani non siate così progrediti come speravo. Ebbene! Come diceva il vecchio Buffle…

Mentre parla si ode una voce distante cantare in giardino; si fa sempre più vicina, e SMITH si gira all’improvviso verso il DOTTORE.

SMITH. Di chi è questa voce?

DOTTORE. Non sta a me stabilirlo!

MORRIS. [Andando alla finestra.] Non c’è bisogno di preoccuparsi. So io chi è.

[Entra PATRICIA CARLEON.]

[Ancora agitato.] Patricia, dove sei stata?

PATRICIA. [Abbastanza stancamente.] Oh!, nel paese delle fate.

DOTTORE. [Giovialmente.] E dove si trova mai?

PATRICIA. È piuttosto diverso dagli altri luoghi. È da nessuna parte oppure dovunque ti trovi.

MORRIS. [Di colpo.] Ha degli abitanti?

PATRICIA. Di solito solo due. Una persona e la sua ombra. Ma se egli sia la mia ombra o io la sua non si può mai stabilire.

MORRIS. Egli? Chi?

PATRICIA. [Sembrando capire solo ora il suo fastidio, e sorridendo.] Oh, non devi vederla in modo convenzionale, Morris. Egli non è un mortale.

MORRIS. Come si chiama?

PATRICIA. Là non abbiamo nomi. Non puoi mai conoscere davvero qualcuno se conosci il suo nome.

MORRIS. Che aspetto ha?

PATRICIA. L’ho incontrato solo al crepuscolo. Sembra vestito con un lungo mantello, con un cappello appuntito o un cappuccio come gli elfi nelle mie storie da bambina. Qualche volta, quando guardo fuori dalla finestra, qui, lo vedo muoversi intorno alla casa come un’ombra; e vedo il suo cappuccio a punta, scuro contro il tramonto o il sorgere della Luna.

SMITH. Di che cosa parla?

PATRICIA. Mi dice la verità. Moltissime cose vere. È un mago.

MORRIS. Come fai a sapere che è un mago? Immagino che ti abbia fatto vedere qualche trucco.

PATRICIA. Saprei che è un mago anche se non facesse trucchi. Ma una volta si è chinato, ha raccolto un sasso e lo ha lanciato in aria, e quello è volato su verso il cielo di Dio come un uccello.

MORRIS. È stato quello che ti ha fatto pensare per la prima volta che fosse un mago?

PATRICIA. Oh, no. Quando l’ho visto per la prima volta stava tracciando cerchi e pentacoli nell’erba e parlava la lingua degli elfi.

MORRIS. [Con scetticismo.] Tu conosci la lingua degli elfi?

PATRICIA. Non la conoscevo prima di sentirla.

MORRIS. [Abbassando la voce come per parlare a sua sorella, ma perdendo così completamente la pazienza da parlare con un tono molto più alto di quanto immagini.] Ascoltami bene, Patricia, ho capito che questa cosa sta arrivando al limite. Non permetterò che tu sia incantata da qualche disgraziato vagabondo o chiromante perché hai deciso di leggere della poesia minore che parla di fate. Se questo zingaro o quel che è ti disturba di nuovo…

DOTTORE. [Mettendo una mano sulla spalla di MORRIS.] Avanti, dovete lasciare un minimo di spazio alla poesia. Non possiamo tutti nutrirci solo di benzina.

DUCA. Assolutamente giusto, assolutamente giusto. Ed essendo irlandese, avete presente, celtico, come diceva il vecchio Buffle, canzoni incantate, sapete, sulla ragazza irlandese che ha uno scialle a quadri – e una banshee . [Sospira profondamente.] Povero vecchio Gladstone.

Silenzio come al solito.

SMITH. [Rivolto al DOTTORE.] Ero convinto che voi consideraste dannosa per la salute una superstizione di famiglia.

DOTTORE. Penso che una superstizione in famiglia sia più salutare che una lite in famiglia. [Raggiunge tranquillamente PATRICIA.] Beh, dev’essere bello essere giovane e avere ancora da vedere tutte quelle stelle e quei tramonti. Noi vecchi moderati non saremo troppo severi con voi se la vostra visione delle cose qualche volta diventa un po’… problematica, diciamo così? Se per errore le stelle si spargono nel prato; o se, una volta o due, il sole tramonta a levante. Ci limiteremo a dire: «Sogna come desideri. Sogna per tutto il genere umano. Sogna per noi che non possiamo sognare più. Ma assolutamente non dimenticare mai la differenza.».

PATRICIA. Quale differenza?

DOTTORE. La differenza tra le cose che sono belle e le cose che sono là fuori. Quella lampada rossa sopra la mia porta non è bella; ma è là fuori. Potreste persino arrivare ad essere felice che sia là, quando le stelle d’oro e d’argento saranno svanite. Io ora sono un vecchio, ma alcuni uomini sono ancora felici di trovare la mia stella rossa. Non dico che siano dei saggi.

PATRICIA. [In parte toccata.] Sì, so che siete buono con tutti. Ma non pensate che ci siano stelle sospese e spirituali che dureranno più a lungo delle lampade rosse?

SMITH. [Con decisione.] Sì. Ma sono stelle fisse.

DOTTORE. La lampada rossa durerà il mio tempo.

DUCA. Splendido! Splendido! Ecco, è come Tennyson. [Silenzio.] Mi ricordo di quando non ero laureato…

La luce rossa scompare; dapprincipio nessuno se ne accorge, tranne PATRICIA che indica animatamente.

MORRIS. Che succede?

PATRICIA. La stella rossa se n’è andata.

MORRIS. Impossibile! [Scatta verso le porte del giardino.] È solo qualcuno che si è messo davanti. Ehi, duca, c’è qualcuno in piedi nel giardino.

PATRICIA. [Con calma.] Vi avevo detto che camminava in giro per il giardino.

MORRIS. Se è il tuo indovino…

Scompare in giardino, seguito dal DOTTORE.

DUCA. [Con lo sguardo fisso.] Qualcuno in giardino! Davvero, questa Campagna terrestre…

Silenzio.

MORRIS ricompare, col fiatone.

MORRIS. Un tipo arzillo, il tuo amico. Mi è scivolato dalle mani come un’ombra.

PATRICIA. Ti avevo detto che era un’ombra.

MORRIS. Bene, suppongo che allora ci sarà una caccia all’ombra. Hai una lanterna, duca?

PATRICIA. Oh, non c’è bisogno di preoccuparsi. Egli verrà se lo chiamo io.

Ella esce in giardino e chiama con alcune parole inintelligibili e semi-cantilenanti, vagamente simili alla canzone prima del suo ingresso. La luce rossa ricompare; e si sente un lieve suono come di passi strascicati, in avvicinamento, tra foglie cadute. Si vede lo STRANIERO, ammantato e con il cappuccio a punta, in piedi fuori dalle porte del giardino.

PATRICIA. Puoi entrare da tutte le porte.

Il figuro entra nella stanza.

MORRIS. [Chiudendo la porta del giardino dietro di lui.] Adesso, guarda qua, mago, ti abbiamo preso. E sappiamo che sei un imbroglione.

SMITH. [Tranquillamente.] Chiedo scusa, ma non credo che sappiamo una cosa simile. Da parte mia devo confessare parte dell’agnosticismo del dottore.

MORRIS. [Eccitato, e girandosi quasi con un ringhio.] Non sapevo che voi preti difendeste altre favole a parte le vostre.

SMITH. Io difendo la cosa a cui ogni uomo ha diritto. Forse l’unica cosa cui ogni uomo ha diritto.

MORRIS. E sarebbe?

SMITH. Il beneficio del dubbio. Anche il vostro padrone, il milionario del petrolio, ne ha diritto. E io penso che gliene serva di più.

MORRIS. Non penso ci sia molto da dubitare sulla questione, prete. Ho incontrato questo genere di individuo abbastanza spesso… il genere di individuo che persuade le ragazzine a dargli dei soldi dicendo loro che può far scomparire i sassi.

DOTTORE. [Allo STRANIERO.] Dite che sapete far scomparire i sassi?

STRANIERO. Sì. Posso far scomparire i sassi.

MORRIS. [Sgarbatamente.] Ne evinco che sei il tipo di duro che sa come far sparire un orologio e una catena.

STRANIERO. È una cosa che ho fatto.

MORRIS. [Con un sorriso sarcastico.] Adesso svanirai?

STRANIERO. [Dopo averci pensato.] No, penso che apparirò, invece. [Butta indietro il cappuccio, mostrando la testa di un uomo di aspetto intellettuale, giovane ma abbastanza sciupato. Quindi si slaccia il mantello e lo getta via, rivelando un moderno completo da sera. Avanza attraverso la stanza verso il DUCA, tirando fuori nel frattempo il suo orologio.] Buonasera, Vostra grazia. Temo di essere decisamente in anticipo per lo spettacolo. Ma questo gentiluomo [con un gesto verso MORRIS] sembrava alquanto impaziente che io incominciassi.

DUCA. [Alquanto sbigottito.] Oh, buonasera. Ecco, davvero – voi siete il…?

STRANIERO. [Inchinandosi.] Sì. Sono l’illusionista.

Tutti ridono, ad eccezione di PATRICIA. Mentre gli altri chiacchierano, lo STRANIERO la raggiunge.

STRANIERO. [Con grande tristezza.] Mi dispiace molto di non essere un mago.

PATRICIA. Avrei preferito che foste un ladro, piuttosto.

STRANIERO. Ho commesso un crimine più crudele del furto?

PATRICIA. Avete commesso quello che è, penso, il crimine più crudele possibile.

STRANIERO. E qual è il crimine più crudele?

PATRICIA. Rubare il giocattolo di un bambino.

STRANIERO. E io che cos’ho rubato?

PATRICIA. Una fiaba.

TELA.

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Questo era il primo atto del dramma.
L’opera completa può essere acquistata qui.

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